L’eleganza di qualità attraverso la conoscenza dell’Avvocato Roberto Viscomi

L’eleganza di qualità attraverso la conoscenza dell’Avvocato Roberto Viscomi

Viscomi

Oggi, abbiamo il piacere di chiacchierare con l’avvocato Roberto Viscomi. Oltre alla sua attività di legale, è attivo anche in campo scientifico nel settore universitario ed è appassionato di storia in generale e, in particolare, di storia del costume.

Il “bel vivere” non è il lusso, ma l’apprezzamento di qualità e bellezza

D: Ci racconta com’è nato il suo interesse per il bello?

RV: Per spiegare la mia idea di bello, vorrei partire dal termine “sibaritico” che, benché identificato come aggettivo volto a configurare qualcuno sfrenatamente dedito alle apparenze e al vacuo, in realtà significa vivere adeguatamente ogni momento della propria vita. Lo contrappongo al concetto di “lusso” che trovo abusato e fine a sé stesso, mentre il “bel vivere” è avere la possibilità di condividere con gli altri momenti e situazioni di bellezza. Il bello per me, italiano e del Sud, è saper godere del piacere di un buon cibo, un bel paesaggio o una conversazione brillante, tutte cose non riferite al lusso. Il “bel vivere” e, dunque, il bello risiedono nel sapere trarre giovamento dell’armonia che ci circonda e, sotto questo aspetto, l’Italia è il Paese adatto per varietà e storia.

Vengo da una famiglia tradizionale e cattolica da cui ho attinto i valori che pratico ancora oggi e che hanno a che fare con il rispetto, un approccio che porta a riconoscere e praticare il bello. L’educazione che mi è stata impartita poggiava proprio sull’idea di rispetto delle tradizioni, del credo religioso, delle persone, di sé stessi e anche delle cose. Essere adeguati vuol dire anche vestire in maniera consona e rispettosa della propria persona e dell’ambiente che ci accoglie. Conservare i propri capi con cura è una forma di rispetto del bello. I miei genitori si facevano confezionare gli abiti dal sarto e della sarta (pratica molto in uso nei tempi che furono aldilà del ceto e della posizione sociale) e ne avevano grande cura. Ho appreso da loro il rispetto dovuto a ciò che si indossa, spazzolo personalmente le mie giacche e i miei capi e mi occupo in prima persona del mio guardaroba. La cultura dell’“usa e getta”, che spinge a possedere più cose di quanto ce ne occorrano realmente, è all’antitesi del concetto di qualità che non ha bisogno della quantità, piuttosto della ricerca, della lentezza. In ultima analisi, l’eleganza è adeguatezza non apparenza.

D: Vuole raccontarci un aneddoto legato al suo modo di vestire?

RV: Da ragazzo possedevo una giacca sola che usavo per andare a messa e alle cerimonie, per il resto vestivo in jeans e chinos come tutti i ragazzi. Prima di partire per l’università, che ho frequentato a Firenze, mio padre mi disse che era ora che avessi un guardaroba consono alla fase della vita che stavo per iniziare. È stato uno di quei momenti che sanciscono la fine di un’era, in quel caso della mia gioventù, e l’inizio di una nuova stagione: l’ingresso nell’età adulta. Comprammo due paia di pantaloni grigi, uno per l’inverno e l’altro per le altre stagioni, riadattammo un blazer blu di mio padre dal sarto, tre camicie Brooks Brothers, due cravatte di manifattura britannica, un Barbour e un paio di Church’s, che possiedo tuttora, e con quelli partii per i momenti più importanti del mio periodo universitario, senza tralasciare gli amati chinos o i jeans.

La conoscenza come punto di partenza dell’eleganza

D: Torniamo a parlare di eleganza…

RV: Come dicevo poc’anzi, l’eleganza, che è adeguatezza, è una ricerca continua è uno studio minuzioso, è conoscenza. Mi piace citare a questo proposito i clerici vagantes, gli studenti che nel Medioevo viaggiavano per tutta l’Europa per seguire le lezioni dei grandi maestri dell’epoca. La loro era una perenne ricerca del sapere, i loro incontri negli atenei erano momenti di condivisione delle conoscenze raccolte, istanti di arricchimento reciproco e di stimolo. Anche nell’eleganza il sapere riveste un ruolo importante, non si indossano semplicemente i capi, si conosce la loro storia, la loro fattura, le peculiarità del tessuto con cui sono fatti. Oggi, non mi faccio confezionare molti vestiti nuovi, piuttosto mi prendo grande cura di quelli che già posseggo, rinnovandoli, facendo una manutenzione attenta e, per venire a Toscanini, appendendoli ai giusti supporti per evitare che le giacche e i pantaloni si gualciscano.

D: Lei è un grande conoscitore di tessuti di pregio.

RV: Conoscitore è una parola grossa! Un appassionato, quello sì. I tessuti sono una delle mie grandi passioni di sempre, tanto che mi piace andare a scovare tessuti introvabili anche per amici e conoscenti. Conosco piuttosto bene i tessuti prodotti nel Regno unito: la flanella, il tweed, il lino. In questo ho avuto ottimi mentori come, per esempio, Michael Drake, fondatore di Drake’s, uno dei punti di riferimento per l’eleganza maschile a Londra e nel mondo, convinto che il guardaroba di un gentiluomo debba concentrarsi su stile, comfort e qualità piuttosto che sulla moda. Anche Jeremy Hackett, co-fondatore di Hackett insieme ad Ashley Lloyd-Jennings, mi ha ispirato, oltre che con il suo stile inappuntabile, con il suo libro “Mr Classic”. Devo molto anche a Michael Hill, l’attuale direttore artistico di Drakes’, altra figura centrale nel panorama dell’eleganza maschile. Persone che ho avuto il piacere di conoscere e con le quali mi sono intrattenuto, imparando moltissimo, in particolare sui tessuti britannici.

D: Anche la storia l’appassiona, non è vero?

RV: Sì, molto. Penso che conoscere la storia sia indispensabile per comprendere, per esempio, come ci vestiamo, da dove derivano alcuni capi che indossiamo. Non tutti sanno che la pochette, il fazzoletto che si porta nel taschino, nacque per permettere ai gentiluomini della Londra vittoriana di attraversare certe zone maleodoranti della città, proteggendosi il naso appunto con un fazzoletto imbevuto di profumo per non sentire i miasmi. A chi fosse curioso di sapere di più sulla storia dell’eleganza raccomando la lettura di “Flâneuse. Donne che camminano per la città a Parigi, New York, Tokyo, Venezia e Londra” di Lauren Elkin per Einaudi.

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I segreti di un guardaroba organizzato con Toscanini

D: È arrivato il momento di scoprire com’è il suo armadio-guardaroba ed eventuali piccoli segreti… 

RV: In realtà ho organizzato il mio guardaroba in più armadi, mi pare corretto che i completi stiano insieme, i cappotti da un’altra parte, le camicie e cravatte in un altro spazio ancora. In questo modo riesco ad avere una visione chiara di ciò che ho e a mantenere ogni cosa in ordine, condizione essenziale per un guardaroba perfetto. Un segreto, oltre a quello di prendersi cura dei capi spazzolandoli con attenzione e riponendoli correttamente, è usare l’olio di bergamotto, un agrume tipico della mia Calabria, come repellente per gli insetti. Basta aggiungerne qualche goccia ai sacchetti di fiori che si usano per profumare l’armadio e il gioco è fatto. Anche le sue scorze essiccate assolvono la medesima funzione.

D: … e la valigia perfetta come si prepara?

RV: L’importante è riuscire ad avere ciò che serve per essere adeguati alle situazioni in cui ci si troverà. Penso che un blazer blu nel tessuto giusto per la stagione, per esempio in Hopsack per la stagione primavera-estate, sia sempre giusta e possa essere facilmente abbinata a due diverse paia di pantaloni e a camicie e cravatte diverse. L’intercambiabilità è la chiave di volta.

D: Parliamo di portabiti? 

RV: Trovo che Marcello, il portabito Toscanini che preferisco, sia perfetto per sostenere i capi. Ha una struttura sapiente che si prende cura delle spalle e del collo dei capi spalla, ma anche Marcello pantaloni è indispensabile per evitare il formarsi di brutti segni e pieghe. Se dovessi esprimere un desiderio, vorrei poter acquistare un marchingegno per arrotolare le cravatte in modo che si conservino alla perfezione. Ne vidi uno tempo fa in un negozio, un piccolo attrezzo davvero geniale.

D: Chiudiamo con un’ultima riflessione sull’eleganza.

RV: L’eleganza è particolarmente visibile nello stile informale. È consentito andare a messa senza cravatta quando le temperature sono alte come in questi giorni, ma senza giacca, no! I tessuti e i tagli giusti, come per esempio le Guayabera, le camicie sudamericane con le tasche, sono perfette per sopravvivere all’afa restando eleganti e freschi.

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