L’impeccabile eleganza nel vestire bene del Dottor Marco Piancastelli

L’impeccabile eleganza nel vestire bene del Dottor Marco Piancastelli

Oggi abbiamo incontrato Marco Piancastelli, cesenate, chirurgo ortopedico, cultore dell’eleganza maschile.

L’impeccabile eleganza nel vestire bene del Dottor Marco Piancastelli

Lo stile personale del Dottor Marco Piancastelli

D: Ci racconta com’è nata il suo interesse per il bello? 

MP: Credo di essere sempre stato affascinato dal bello, in particolar modo dalle forme. Da piccolo realizzavo costruzioni incredibili con i mattoncini, opere di pura fantasia che inventavo senza badare ai modelli proposti sulle scatole.

Anche l’eleganza mi ha sempre attirato, mia madre aveva una vera passione per i vestiti e un gran buon gusto, penso sia stata lei a instillarmi il piacere del vestire bene. A sedici anni andavo spesso a scuola in giacca e cravatta, mi piaceva e non mi curavo delle piccole prese in giro dei compagni. Non ho mai accettato l’omologazione, l’essere uguale agli altri, indossare marchi a vista. Credo sia un’affermazione di personalità che ho maturato con il tempo: da giovane magari chiedevo conferma delle mie scelte a chi ne sapeva di più, oggi so esattamente che cosa mi piace e non ho alcun problema a indossare capi che possono sembrare azzardati e attirare l’attenzione. Il mio primo Panama lo ordinai online che ero poco più che un adolescente, ricordo che costava la bella cifra di 300.000 lire. Non avevo tenuto conto dei dazi doganali che il mio arrabbiatissimo padre dovette pagare, ben 200.000 lire!

Foto di Stefano Triulzi

D: Ha avuto maestri di stile?

MP: No, direi di no. Ho appreso molto dalle tante persone che ho incontrato e trovo spunti e idee nel Cavalleresco Ordine dei Guardiani delle Nove Porte, un’associazione che si occupa, tra le altre cose, di eleganza maschile e che propone molti contenuti che ritengo interessanti e validi. Ci sono poi persone che stimo come, per esempio, Giovanni Alfieri, che hanno aiutato molti a orientarsi nel mondo dell’eleganza maschile.

Tessuti e rarità per dar vita a completi unici

D: Come sceglie i vestiti che indossa?

MP: In realtà, sono i vestiti che scelgono me attraverso i tessuti che riesco a scovare nei negozi in giro per il mondo. Tempo fa, da Lafayette Saltiel, lo storico magazzino di tessuti di Parigi fondato quasi 100 anni fa, scavando tra le pezze ho trovato un tessuto degli anni ’40, meraviglioso ma un po’ rovinato dalle tarme. È stato amore a prima vista e ho capito subito che foggia avrebbe avuto la riproduzione della divisa militare coloniale francese, poi trasformata in abito, che quella stoffa bellissima mi stava suggerendo. Si sono tutti stupiti che io volessi acquistarla, era impolverata e rovinata, ma me la sono portata via comunque, tra l’altro a un ottimo prezzo.

Dopo la Brexit, acquistare i tessuti inglesi è diventato più complicato e costoso, così cerco i tessuti in Italia dove ci sono eccellenze indiscusse come, per esempio, il lanificio biellese Vitale Barberis Canonico. I sarti, quelli storici, hanno archivi colmi di modelli magnifici, si possono fare scoperte incredibili sfogliandoli. Sto facendo pressing sul Maestro Andreacchio di Caraceni perché ristampi il suo libro ormai introvabile, una vera fonte di ispirazione.

D: C’è un capo a cui è particolarmente affezionato?

MP: Sì, è una giacca fatta da Don Pasquale Sabino, un dono con cui mi sorprese durante una gita in barca a Capri. La fece senza neppure una prova, usando un tessuto 90% cachemire e 10% seta da 210 grammi che oggi non esiste più e che io tratto con la massima cura. Era un maestro vero. Non indosso quella giacca se devo andare al ristorante né in luoghi dove si fuma o dove ci sono potenziali pericoli per la sua incolumità. Non è solo per il capo in sé, ma per ciò che rappresenta per me: l’amicizia di un uomo straordinario al quale sono ancora legatissimo. Lo avevo conosciuto attraverso il film O’Mast di Gianluca Migliarotti e mi era sembrato antipatico, invece era una persona splendida. Parlava un napoletano strettissimo, dovetti imparare a capirlo, ma sviluppammo un’intesa profonda, un legame di quelli che capitano pochissime volte nella vita. Per partecipare al suo funerale nel 2020, cancellai ogni impegno professionale e partii per Napoli, una cosa che non ho mai fatto in vita mia.

 

Un mondo di eleganza tra colori e tradizione

D: Come descriverebbe il suo stile?

MP: Non saprei descrivere il mio modo di vestire riferendomi a uno ‘stile’, cerco piuttosto di vestirmi in modo classico, assecondando i miei gusti, senza badare troppo al parere altrui. Mi piace esercitare il mio particolare senso del colore, vado fiero del mio cappotto rosso asburgico, così come mi piace molto un tessuto viola che ho acquistato tra lo scetticismo dei più e che, invece, si è rivelato azzeccatissimo.

D: Da chi si serve per confezionare i suoi abiti?

MP: Mi servo in diverse sartorie anche se, come tutti, ho i miei punti di riferimento, uno su tutti Sabino, che era davvero il numero uno e della cui arte i suoi figli sono degni prosecutori; ho ottimi rapporti anche con i Caraceni che sono veri artisti; Franco Puppato è un genio; Antonio Panìco è così bravo che lavora senza neppure usare i cartamodelli; Gigi Dalcuore era bravissimo, una grave perdita la sua scomparsa, ma sua figlia Cristina e il genero Damiano hanno saputo raccogliere il testimone e stanno facendo un lavoro egregio. Poi, naturalmente, ci sono i grandi sarti di Savile Row a Londra, anche lì un mondo di eleganza.

D: Praticamente solo uomini…

MP: Sì, è così. Non è una questione di genere, ma di contesto. Ci sono ambiti in cui è meglio se si è tutti uomini e non perché si facciano o si dicano cose ‘da uomini’, è che la presenza delle donne altera gli equilibri perché innesca senza volere quei meccanismi di competizione per cui noi maschi tendiamo ad andare un po’ sopra le righe, a non essere pienamente rilassati. Non a caso, dai sarti le signore non entrano in sala prove. So che sta cambiando, ma in questo io sono un tradizionalista…

L’impeccabile eleganza nel vestire bene del Dottor Marco Piancastelli

Foto di Stefano Triulzi

 

La perfezione di uno stile su misura e senza tempo

D: Abbiamo parlato di tessuti, di sarti, di colori, ora parliamo un po’ del suo guardaroba…

MP: (ride) Inizio con il dire che i portabiti Toscanini li ho visti per la prima volta da Huntsman a Londra e ho capito a colpo d’occhio che si trattava di oggetti speciali. Li ho poi rivisti tempo dopo pubblicati sul magazine Stile maschile e non li ho più lasciati: li uso per le giacche, i cappotti, i pantaloni, per le camicie… Se mi capita di ricevere dalla sartoria un abito su un portabito di plastica, la prima cosa che faccio arrivato a casa, è sostituirlo con un portabito in legno Toscanini!

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Il mio guardaroba è organizzato per colore, tessuto e occasione, un sistema che mi permette di trovare subito il capo che cerco. Mi sto facendo fare un armadio nuovo su misura che conterrà 40 abiti, poi ho un centinaio di cappelliere, circa 200 cravatte, sciarpe e un’infinità di pochette, che sono la mia passione e a cui non rinuncerei mai. Mariano Rubinacci conosce bene questo mio debole e, ogni volta che passo di lì, me ne mostra di bellissime e io non so resistere… Le camicie le tengo appese perché ne ho davvero tante e piegate occuperebbero troppo spazio nei cassetti e si schiaccerebbero. Vengono lavate in casa e poi mandate a stirare.

Foto di Stefano Triulzi

D: Che cosa non tollera?

MP: Il cattivo gusto è proprio una cosa che non posso sopportare. Non riesco più andare al mare perché la vista di tante ciabatte e canottiere mi manda in bestia, figuriamoci poi se le vedo indossate in città! Ormai si è perso il senso della convenienza in qualsiasi contesto, persino nei tribunali, lo trovo inaccettabile. Lo stile cambia ed evolve, è vero, ma un guardaroba maschile dovrebbe poggiare su basi immutabili, su alcuni presupposti senza cui qualsiasi cosa si vada ad aggiungere non può essere elegante.

D: Un ultimo aneddoto?

MP: Napoli è una delle città che più amo, la sua bellezza è assoluta ed è un peccato che sia rimasta come celata per tanto tempo. Mi rende felice sapere che ora si sta riprendendo il posto che le spetta e che la magnificenza delle sue architetture e dei suoi scorci torni a incantare i visitatori. Sarà perché respirano tanta bellezza che i sarti partenopei sono così bravi. Una volta, mi trovavo a passeggiare per Napoli, quando una signora mi chiamò dall’altro marciapiede e mi chiese se l’abito che indossavo fosse di Panìco. Esterrefatto le risposi che, sì, effettivamente si trattava di un abito di Panìco; lei disse che si vedeva, che quello era un bravo sarto e se ne andò. Questo per dire che esiste uno stile che si fa riconoscere per la sua perfezione.

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